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I fabbri di Fratta        

 

I FABBRI DI FRATTA

Di Paolo Ippoliti


 

    "La Fratta era allora (1550) assai più conosciuta che oggi che si chiama Umbertide". Termina così, con la citazione un po' amara di uno storico perugino del suo tempo, il libro di Francesco Mavarelli "Dell’arte del fabbri della terra di Fratta".

    Una settantina di pagine, oggi assai rare, pubblicate nel 1901 a cura del prof. D. Augusto Vemarecci, amico del Mavarelli, dopo la scomparsa dello storico umbertidese. Il libro è stato acquistato (e pagato profumatamente) presso un antiquario dal pro f. Roberto Sciurpa, storico a sua volta e preside del Liceo Leonardo Da Vinci che, valutata la preziosità del volumetto, non se lo è lasciato sfuggire.

     

"Nel borgo inferiore della Fratta dei Figli di Uberto (Umbertide) n'ori di porta romana, intorno alla antica chiesetta dedicata dapprima agli apostoli Pietro e Paolo, ampliata di poi e dedicata all'umile Poverello di Assisi, numerose sorgevano nel Medio Evo le officine dei fabbri ferrai; si che il borgo stesso aveva da essi preso il nome". Un nome famoso in AIto Tevere ed in tutta l'Umbria, fino in Toscana ed in Lazio: gli attrezzi e soprattutto le armi prodotte dagli antichi fabbri di Fratta avevano pochi rivali. Il Guerrini, nella sua "Storia della terra di Fratta" annotava infatti a suo tempo:" In questo luogo (attuale piazza S. Francesco) erano parecchie officine di preferenza dedicate all'arte fabbrile e specialmente alla fabbrica delle falci per tutta Italia rinomate e ai lavori di Artiglierie, per cui nel secolo XVI Angelo di Giovan Battista di Pieruccio Cortoni di questa Terra venne con somma onoranza impiegato in estere corti". E così la città veniva definita negli Statuti di Perugia: "Insigne oppidum Vulcani fabris celebre". Un marchio di garanzia.

 

LE ORIGINI E LE CAUSE

 

Si può stabilire approssimativamente, secondo il Mavarelli, l'epoca in cui cominciò a sorgere e a svilupparsi nella antica Umbertide l'arte dei fabbri: certo è che sul finire del XIII sec. essa doveva aver raggiunto un alto grado di perfezione se essi "poterono offrire l'opera loro per la costruzione delle cancellate della Fonte di S. Lorenzo (la Fontana Maggiore, ndr.)sempre cara come la pupilla degli occhi ai Rettori della comunità di Perugia". Comunque ll nostro storico pone tra il sec. XI e XIII (come ipotesi verosimile) gli inizi e quindi lo sviluppo di questa nobile arte. Sulle cause che ne favorirono la nascita "qualche luce viene recata alla questione dalla circostanza che il principiare di questa arte sembrerebbe potersi stabilire in quello stesso turno di tempo nel quale la Fratta, da

umile agglomerato di casupole e di capanne, andava assumendo l'aspetto di una popolosa borgata, ove si tenevano frequenti ed importanti mercati all'ombra della Neve di S. Erasmo". Una popolosa borgata quindi che deve il suo accrescersi e la sua fama ai suoi fabbri, di pari passo con i territori posseduti e coltivati. E' in ultima analisi l'agricoltura, attività primaria dei frattigiani, il vero volano di tutto. Afferma il Mavarelli: "Le cause certe del suo svilupparsi (dell'arte fabbrile in connessione con l'attività agricola, ndr.) pensiamo fossero la naturale ubertosità del suolo; la sicurezza insita nella località stessa in forma di piccolo colle (...); la felice situazione centrale tra le città di Gubbio, Perugia, Castello e la più lontana Conona; il presentare facile accesso ai popoli vicini accorrenti per la compra e lo smercio (...); la costruzione del grandioso ponte sul Tevere (risale alla fine dell’VIII sec.) e la rarità di tali ponti (onde una più sentita affluenza di viandanti); la lontananza del feudatario (Marchese di Castiglione, Ugolino) e la vicinanza dell'Abbazia di Monte Acuto, poi di Monte Corona (...) che possedeva vastissimi territori, chiese e castelli". Una serie di circostanze che rendono la Fratta un centro popoloso e frequentato, in grado di produrre benessere per la popolazione che si sta addensando e che pratica, come sottolineano le cronache, una agricoltura intensiva e progredita. Gli uomini di questo Paese sono diligenti ingeniosi et soleciti et aveduti imperochè il loro poco sito per il continuo exercitarlo lo fanno fruttare come larga campagna e luogo grandissimo... No hanno bestiame ne pasture. (Cipriano di Piccolpasso, sovrintendente alle fortezze di Perugia, tra il 1556 e il 1568). Un agricoltura che molto dipende dagli strumenti che i fabbri producono. Ed ecco allora le gomee, bivente, vanghe, zappe, cette, falcini picconi, maroncelle, cettarelle, falcioni grassi, ronche, falcini da potare, falcini a lunette, scorcini.

 

E dove i nostri fabbri acquistarono celebrità indiscussa in per tutta l'Italia centrale fu nella fabbricazione delle falci arcolte, campagnole e stese le quali avevano ovunque numerosi compratori e specialmente nel mercato di Roma, &ve a tutto il secolo XVI se ne inviavano 9 migliaia l'anno.

 

LA FRATTA

PRODUTTRICE DI ARMI

 

Nel '500 la Fratta non era famosa solo per falci e marocelli, anzi: ben maggiore era la sua importanza in tutta l'Italia centrale (ma abbiamo visto che la fama si era sparsa anche all'estero) per la produzione di anni da fuoco e da taglio.

Il Piccolpasso non manca di annotare: "qui si lavora benissimo d'archibugi et armi d'aste'. La misura di quel "benissimo" la offre l'ordinazione di ben 500 archibugi per la fortezza di Castel Sant'Angelo da parte del papa Paolo III; parte delle artiglierie di cui era naturalmente fornitissima la Rocca di Fratta furono dirottate dallo stesso papa a Perugia presso la costruenda Rocca Paolina, "già pricipiata (nel 1540 ndr.) da soli due anni e già in grado di essere munita".

"E la celebrità dei nostri archibugi -scrive il Mavarelli- doveva essere ben nota al camerlengo della Chiesa Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, il quale nel 1942 (...) imponeva alla Comunità (la Fratta, ndr.) di portare ogni anno in occasione della festa di Sant'Erasmo (la cui fiera aveva ottenuto l'esenzione dalle gabelle) tre archibugi nuovi da posta (...) al prefetto della Rocca Paolina.(...) Il cardinale dì S. Agata Tiberio Crispo, creato legato dell'Umbria nel 1945 assolveva la Comunità dal pagare in avvenire il censo di tre archibugi da posta purché consegnasse subito tre archibugi da posta e altri 18 piccoli per munirne la Rocca di Castiglione del Lago la quale mancava di tali armi". Archibugi tanto rinomati da essere pretesi come tasse,quindi. Ma i fabbri della Fratta non eccellavano solo nelle armi da fuoco; ecco le "armi d'aste" che avevano "colpito" il già citato Piccolpasso:

"pugnale, pugnaletto, quadrelletto a stilo di ferro o d'acciaio, spada, stoccho, coltella, scimitarra, lancia, spiedo, giannetta, serpentone, partigiana, parteggianette1 scaiatoio o dardi, scoppietti, balestre o archo, ronca da siepe, falcino, scorcino, mazza de ferro, de legno, bastone ferrato, pallotta de ferro, de piombo, de stagno, de bronzo, coltello più lungo d'uno sparmino, celata, celatina, mezza testa, cachielli da testa, elmetto, baviera, gozzalino, spallacci o maniche de mal glia o chorazza o chorazzina o corsaletto o panziera o vestitello de maglia o falda, cossali, schinieri o calze de mal glia o guanti de malglia".

 

LA CORPORAZIONE

DEI FABBRI

 

Quando sorse la corporazione dei fabbri? Non si può rispondere con certezza, secondo il Mavarelli, a tale domanda. "Forse essa sorse con il principiare dell'arte stessa o per lo meno nella seconda metà del sec. XIII; certamente doveva essere già costruita prima del 1362, nel quale anno fu compilata la prima raccolta in volgare delle nostre leggi municipali". Le corporazioni medievali nacquero prima dei Comuni e di essi furono elementi costitutivi, esercitando una notevole influenza politica oltre che economica, tanto che spesso la costituzione interna del Comune somigliava a quella della corporazione. Considerata l'importanza della corporazione di fabbri alla Fratta, essa certamente non fu estranea allo sviluppo interno delle libertà municipali, pur essendo stato questo assai più lento che altrove "non avendo mai avuto la nostra Terra un' esistenza indipendente", poichè sempre stata nell'orbita perugina.

Accanto a quella dei fabbri esistevano altre Otto corporazioni che il Mavarelli elenca: Merhanti; Spetiali e Merciarii; Calzolari; Sartori, Barbieri e Cimatori; Maestri del legname, de pietra et Muratori; Vasari, Pignattari e Bruscholaioli; Macellatori Albergatori Tavernari Panacuocoli Hortolani; Haratori de terrana Operai dell'arte de font e biffolci.

        La loro influenza politica si svolgeva

direttamente nella amministrazione pubblica per mezzo dei loro rettori, i quali andavano al Consiglio. "Ai rettori, unitamente a 40 consiglieri, ai quattro defensori, ai tre sopra la guardia, al sindaco, camerlengo, cancelliere era affidata I' amministrazione della cosa pubblica". (Statuti di Fratta).

 

LA DECADENZA

 

Nella prima metà del XVII secolo, con il mutare delle condizioni sociali e politiche inizia la decadenza delle corporazioni, inclusa quella dei fabbri. Le sfere di influenza si restringono al puro ambito economico mercantile, mentre gabelle, lacci e laccioli, da cui la Fratta fu lungamente esente, da Perugia si abbattono sugli artigiani, violando secolari privilegi.

A questo, per quanto riguarda la Fratta in modo particolare, va aggiunto l'assedio posto nel 1643 alla città dalle truppe di Ferdinando il di Toscana, assedio che portò alla distruzione, al saccheggio e all'incendio di tutte le "fabbriche" fuori delle mura della città.

E' un momento più tragico di una decadenza lenta , ma continua, che vedrà il suo epilogo nel dicembre del 1801, quando papa Pio Vi! con un motu proprio abolirà tutte le corporazioni e le arti.

Ma di tante di esse, compresa quella dei fabbri di Fratta, non era rimasto altro che il ricordo.

         

    ARTIGIANI DI FRANA NEL 1744

     

"Ad onta della decadenza generale, quanto grande fosse il numero degli artefici fabbri, vasari e calzolari dimoranti entro la Terra nostra lo desumiamo da un elenco di coloro che furono colpiti nel 1744 dalla tassa del mancinato". (Mavarelli)

 

    PARROCCHIA DI S.GIOVANNI

     

1. Sebastiano Martinelli, vasaro

2. Silvestro Marinelli, vasaro 3. Nicolò Rotelli, fabbro

4. Giovanni Passalbuoni, fabbro

5. Raimondo Rotelli, fabbro

6. Pietro d'Antonio Martinelli, fabbro

7. Lorenzo Martinelli, fabbro

8. Anselmo Donatuti, calzolaio

9. Giovan Francesco Retro galli, garzone di fabbro

 

 

    PARROCCHIA DI S.ERASMO

     

10. Antonio di Costantino ibi, archibugiaro

11. Tommaso Marzolini, calzolaio

12. Giovan Prospero Aragoni, garzone di fabbro

13. Domenico di Giovanni Maria Manocchi, menescalco

14. Antonio Bruschi, fabbro

15. Lorenzo Bruschi, fabbro

16. Antonio Briganti, vasaro

17. Fortunato Agostini, calzolaro

18. Francesco Maria di Santi, calzolaro

19. Francesco Guerrini, calzolaro

20. Ubaldo Masotti, calzolaro

21. Domenico Grimondi, calzolaro

22. Francesco Ferrani, fabbro

23. Tommaso Mavarelli, fabbro

24. D. Sebastiano Vibi, capo di bottega calzolaro

25. Ippolito di Domenico Fiori, garzone di vasaro

26. Giovanni Francesco Franceschini, calzolaro

27. Domenico Vanucci, garzone del fabbro

28. Wttorio Ceccarelli, archibugiere

29. Michele Aragoni, garzone di caizolaro

30. Benedetto Fanfanì, garzone del fabbro

31. Innocenzo Fanfani, garzone del fabbro

32. Pier Giovanni Lettini, fabbro

33. Antonio Mazzantì, maniscalco

34. Giovanni Battista Galeazzi, calzolaro

35. Giovanni Antonio di Sebastiano, garzone di fabbro

36. Tommaso Vanucci, garzone di fabbro

37. D. Pompeo Guerrini, capo di bottega

38. Giovanni Andrea Milanesi, fabbro

39. Faustino di Bernardino igi, garzone di fabbro

40. Domenico Paganelli, fabbro

41. Marcantonio di Bernardino, vasaro

 

 

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Aggiornato il: 25 febbraio 2002